Max Bi

Max Bi


Max Bi, bresciano, classe 1973. Animato da un “nomadismo citazionista”, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, inizia a sperimentare un’inedita commistione di linguaggi e tecniche espressive, estrapolati dalle più disparate correnti artistiche che hanno attraversato l’arte della seconda metà del XX secolo, della quale è un raffinato conoscitore, per giungere alla creazione di una sua personale cifra stilistica. Nei primi anni 2000, l’artista ricrea i grafismi calligrafici dei writers, i loro tags, simili a grafemi primordiali, usando lo stencil e la bomboletta spray sulla tela grezza di iuta e traendo i suoi spunti figurativi dal panorama iconografico della Pop Art italiana, dalle maschere tribali di Paladino o dal graffitismo alla Basquiat, ma riletti in chiave informale.
Le ultime opere dell’artista discendono direttamente da questo filone espressivo, sviluppato tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000: esso mescola icone di noti loghi di multinazionali dal sapore Pop e segni grafici marcati alle sgocciolature di smalti lucenti, graffiti tribali realizzati a scritte di writers rese con informali mescolanze di polvere di alluminio, quarzite e sabbia impastata.
In seguito, nei primi decenni degli anni 2000, l’artista continuerà a fondere queste suggestioni formali con segni dalla forte valenza simbolica di origine ancestrale e stilemi impressi con lo stencil e la bomboletta spray all’interno di un denso substrato, composto da un agglomerato di pennellate nere e bianche stese con veemenza, per arrivare agli addensamenti di graffi ed escoriazioni sui muri delle città, ai tags dei writers, ai quali l’artista conferisce una connotazione materica, reinterpretandola con la tecnica, elaborata tra il 2003 e il 2008, dello strappo della iuta dal preparato di polvere di gesso, marmo o cemento steso sul muro, sul quale dipinge “a fresco”. Se la pratica dello strappo ricorda il décollage dei Nouveaux Réalistes, quella dell’affresco ci riporta ai primordi dell’umanità, come se l’artista volesse “impoverire i segni” per tornare a forme archetipiche della cultura.
Anche nelle ultime opere di Max Bi, si ritrova un denso panorama di simboli archetipici tratti dalla cultura underground che vanno a definire un panorama urbano “sotterraneo”, ricco di allusioni iconografiche al graffitismo e alla street art: in questo urban background, si stagliano animali definiti in modo fumettistico da cromie sgargianti e acide, tratti grafici sfrangiati e nervosi che, da sempre, sostituendosi all’intreccio di marcate linee nere sugli affreschi su iuta e sulle tele, in un’inesausta ansia di sperimentazione di nuovi linguaggi artistici, caratterizzano il suo modus operandi e il suo carattere irriverente, volto a corrodere abitudini e conformismi semantici.
L’artista ha esposto, in occasione di importanti mostre personali e collettive, a Parigi, a New York e, in Italia, a Villa Ponti ad Arona (No), al Palazzo Medici Ricciardi di Firenze, alla Torre Civica di Solferino (Mn), oltre che a Crema, Milano e Brescia. È stato, inoltre, vincitore, nel 2006, del Premio Homo Urbanus, indetto dalla Facoltà di Architettura di Palermo e finalista del Premio Celeste San Gimignano (Si).