Elena Monzo

Elena Monzo


Orzinuovi (BS), 1981

Le opere dell'artista si popolano di sagome tracciate a mano libera da linee sottili e sinuose, lievi e delicate, prive di angoli e smussature, che trasformano il loro corpo in un involucro da riempire con accessori luccicanti e patchwork di stoffe colorate che talvolta sfociano nel fluo. Questa patina sfavillante ricopre donne che giocano a travestirsi e ornare il loro corpo con accessori luccicanti, che amano proporsi all'occhio malizioso del pubblico con una sensualità naturale e istintiva, sfiorando il limite tra la trasgressione più azzardata in stile neo-pop, il trash e il fumettistico. Il patchwork di materiali eterogenei che adorna le sue ballerine, teatranti, ginnaste, drag queen o transgender si compone di un caleidoscopio di simboli, immagini e forme metaforiche provenienti dalla rielaborazione delle suggestioni colte durante i suoi viaggi. L'America, Cuba, il Giappone, la Cina e il Libano hanno donato all'artista un fascinoso bagaglio iconografico al quale attingere. Dall'ipertrofia di un consumismo fatto di un proliferare di immagini artificiali, dominato dagli idoli e dai richiami golosi creati dai mass-media - dei quali i colorati cup-cake sono l'emblema - colti durante i viaggi che l'hanno portata da New York alla California, alla Florida, per arrivare al misticismo e al miscuglio animistico di antichi retaggi africani e spagnoli, riti precolombiani e globalizzazione della cultura del Messico e di Cuba, dove le radici cristiano-cattoliche si fondono alle credenze popolari. Per arrivare poi alla maschera cosmopolita e viziosa, fake/occidentale della Cina contemporanea, dove tradizioni millenarie convivono con il caos delle inquinate metropoli, che sembra vibrare nei mascheroni di dragoni rossi, nei calzari da geisha delle sue donne in cerca di una identità, al Libano, dove la Monzo ha assorbito la tensione tra diverse tradizioni, Israele da un lato, Islam dall'altro.

Questo incontro-scontro è tradotto nella trama intricata dell'arabesco, stile ornamentale classico di matrice islamica, metafora di questo complesso reticolo di interscambio tra culture diverse, per arrivare, passando attraverso i suoi viaggi, alla meticolosità e all'armonia delle tecniche decorative giapponesi, alla tradizione millenaria della seta orientale che vibra nella preziosità cangiante delle delicate trame dei tessuti che poi la Monzo inserisce nelle sue scintillanti composizioni. È attraverso il contatto con la cultura orientale, forse, che l'artista arriva a fare della carta, simbolo di assoluta purezza nella religiosità Zen, il suo materiale d'elezione per il candore che emana, in grado di bilanciare i forti contrasti che animano il dinamismo interno delle sue opere: bianco/nero, vuoto/pieno, apparire/essere. Le sue opere vivono di contraddizioni, al loro interno vige la lotta costante tra colore e disegno, tra la bicromia del segno nero tracciato sulla piatta bidimensionalità del bianco della carta. Da questa dimensione piatta, dove l'artista schizza frame di vita quotidiana, sfocia un collage dall'apparenza fortemente tridimensionale, composto da un'incredibile varietà di strati di vari materiali: glitter multicolor, stickers, tratti di inchiostro, ornamenti, lembi di tessuto multicolor dalle più svariate fantasie, nastri adesivi, carte ad effetto psichedelico e scotch a specchio.